Ti è mai capitato di scrivere qualcosa a ChatGPT, o a un assistente virtuale, solo per vedere cosa avrebbe risposto?
Sempre più persone lo fanno.
Per curiosità, per bisogno, per mancanza di alternative.
E a volte, tra una risposta automatica e una frase che suona quasi empatica, viene spontaneo chiedersi:
“Ma mi sta davvero capendo?”
Psicologia e intelligenza artificiale: dove ci stiamo dirigendo?
Negli ultimi anni, l’intelligenza artificiale è entrata anche nel mondo della salute mentale.
App, chatbot terapeutici, assistenti emotivi digitali: stiamo assistendo a una crescita rapidissima di strumenti che promettono supporto psicologico in formato digitale.
Per alcuni sono utili, rassicuranti, persino salvifici.
Per altri sono freddi, spersonalizzanti, inquietanti.
Chi ha ragione? Probabilmente entrambi. Dipende da cosa stiamo cercando ma soprattutto da cosa siamo disposti a considerare “cura”.
Perché ci rivolgiamo a un’intelligenza artificiale?
I motivi sono tanti.
Alcuni pratici, molto concreti; la terapia può essere costosa, le liste d’attesa sono lunghe e parlare con un essere umano, a volte, fa più paura che scrivere a una macchina.
Altri motivi sono più sottili, quasi culturali.
Viviamo in una società dove tutto è disponibile, sempre. Anche il supporto emotivo sembra doversi adeguare a questa logica “on demand”.
Un chatbot è sempre lì, non si stanca, non giudica, non ti mette a disagio.
Eppure, dietro questa comodità, riaffiora una domanda antica:
Essere ascoltati da qualcuno che non è umano… è davvero essere ascoltati?
Cosa possono (e non possono) fare i chatbot terapeutici?
I chatbot basati su IA possono offrire un primo livello di supporto.
• Possono aiutarti a nominare le emozioni,
• proporre esercizi di respirazione o mindfulness,
• usare tecniche base della terapia cognitivo-comportamentale, e in alcuni casi, fornire risposte sorprendentemente pertinenti.
Ma non possono:
• cogliere le sfumature del tuo silenzio,
• restare accanto a te nel buio di un dolore ambiguo,
• creare una relazione autentica, quella fatta di empatia, sintonizzazione, momenti imprevisti e silenzi che parlano.
La differenza non è solo tecnologica. È profondamente umana.
Un conto è sentirsi rispecchiati da un sistema che ha letto milioni di conversazioni.
Un altro è sentirsi visti da uno sguardo reale, che sceglie di restare, anche quando non capisce subito.
Tra possibilità e limiti: uno sguardo critico
L’intelligenza artificiale non va demonizzata.
Può essere un alleato, soprattutto per chi oggi non ha accesso a un supporto psicologico reale.
Può fare da ponte, da primo passo, da contenitore temporaneo.
Ma guai a pensare che basti.
La relazione terapeutica, quella vera, si costruisce nel tempo, nella fatica, nel dubbio.
Richiede l’incontro con l’altro. Un altro essere umano, imperfetto, fallibile, ma presente.
Qualcuno che non solo prova a capirti, ma che sceglie di restare con te, anche quando nemmeno tu ti capisci.
Senza fare troppo i filosofi, in "Umano, troppo umano" Nietzsche scriveva che l’uomo è qualcosa che deve ancora essere superato.
Un invito a crescere, certo.
Ma anche un avvertimento: nel desiderio di diventare “qualcos’altro”, non dimentichiamoci di ciò che ci rende umani.
E tra le cose più umane che abbiamo (troppo umane, forse) c’è il bisogno di essere visti, accolti, ascoltati.
Non solo con la logica, ma con la presenza.
Tra entusiasmo e illusione
Siamo in un momento di passaggio.
La tecnologia avanza e si propone come soluzione a tutto, anche laddove sembrava impossibile arrivare.
E va bene così: sperimentare, integrare, innovare è parte del nostro tempo.
Ma è altrettanto importante mantenere uno sguardo critico.
Non tutto ciò che è efficiente è giusto. Non tutto ciò che è nuovo è migliore.
L’IA può fare molto ma non può (almeno per ora) amarci, soffrire con noi, restare in silenzio al nostro fianco.
Alla fine, resta l’umano
Forse non si tratta di decidere se un chatbot possa o meno sostituire uno psicologo.
La vera domanda è: che posto vogliamo dare all’umano nella cura?
Perché chiedere aiuto non è solo cercare soluzioni.
È cercare uno spazio dove poter essere fragili senza sentirsi soli.
E per creare quello spazio, ci vuole un altro essere umano.
P.S.
Sì, abbiamo usato ChatGPT per rivedere questo testo.
E no, non ci ha giudicati.
Ma se cerchi qualcuno con cui parlare davvero, su Gitaigo trovi professionisti pronti ad ascoltarti.
Perché essere capiti da un’IA è piacevole…
ma sentirsi accolti da una persona in carne e ossa è tutta un’altra cosa.