Avere tanti contatti ma sentirsi soli.
Essere sempre in mezzo a qualcuno, ma non sapere a chi raccontare davvero come stiamo.
Voler bene a delle persone, ma non riuscire a trovare il tempo per vederle.
Succede. Spesso.
E quando succede, lascia dentro una malinconia sottile, difficile da spiegare.
Come se qualcosa si fosse perso per strada.
Come se l’amicizia, quella vera, fosse diventata un lusso che non possiamo più permetterci.
Dove sono finite le connessioni profonde?
Crescendo, nessuno ci ha avvisato che sarebbe diventato così complicato.
Fare nuove amicizie.
Coltivare quelle vecchie.
Sentirsi davvero visti.
La verità è che da adulti la vita si riempie: lavoro, relazioni, figli, imprevisti.
E a volte siamo noi i primi a sparire.
A rispondere “ci sentiamo presto”, senza crederci davvero.
A posticipare una chiamata.
A rimandare un caffè.
Ma non è solo questione di tempo.
È anche questione di energie.
Perché creare una connessione profonda richiede presenza.
E in un mondo che ci vuole sempre produttivi, performanti, disponibili…
l’energia emotiva è diventata merce rara.
Più siamo connessi, più ci sentiamo isolati
Viviamo nell’epoca delle chat, delle note vocali, dei gruppi WhatsApp con nomi ironici.
Eppure, la sensazione è quella di essere spesso soli con i propri pensieri.
Di non riuscire a parlare davvero.
Di non sapere più come si fa.
C’è qualcosa di paradossale in tutto questo.
Abbiamo mille modi per restare in contatto, ma pochi per sentirci davvero vicini.
Abbiamo tante “relazioni”, ma poche relazioni sicure.
E nel dubbio, impariamo a bastarci.
A non chiedere.
A non disturbare.
Perché ci vergogniamo di dire che ci manca un’amicizia?
Forse perché nella cultura dell’autosufficienza, l’amicizia non è considerata essenziale.
È un “di più”.
Un lusso.
Una cosa da fare se avanza tempo.
Ma la verità è che il bisogno di legami significativi non ci passa con l’età.
Diventa solo più scomodo da ammettere.
Così smettiamo di dire “mi manchi”.
Smettiamo di chiedere “come stai, davvero?”.
Smettiamo di chiamare, per paura di sembrare invadenti, fragili, bisognosi.
Eppure, desideriamo tutti la stessa cosa: sentirci accolti, capiti, importanti per qualcuno.
Senza doverlo guadagnare.
Senza doverlo meritare.
Solo per come siamo.
E allora, cosa possiamo fare?
Forse niente di eclatante.
Forse niente che si possa spuntare da una lista come fosse un altro obiettivo da raggiungere.
Le relazioni non si risolvono. Si attraversano.
Possiamo iniziare riconoscendo quello che c’è: la fatica, la nostalgia, la voglia.
Possiamo accorgerci di quanto ci manca qualcosa, senza giudicarci per questo.
Accettare che il desiderio di connessione non è un difetto da correggere, ma una parte viva di noi.
Forse non troveremo subito una risposta.
Forse non tutte le amicizie si salveranno, e non tutte le distanze si accorceranno.
Ma possiamo restare aperti.
Alla possibilità di scrivere un messaggio, se nasce.
Alla possibilità di ascoltare, se qualcuno parla.
Alla possibilità di esserci, anche in modo imperfetto.
Non si tratta di fare di più, ma di essere più presenti.
Quando possiamo. Come possiamo.
Con onestà.
Con lentezza.
Con rispetto.
Perché l’amicizia adulta, quella vera, non si misura con la quantità di tempo passato insieme,
ma con la qualità dello spazio che decidiamo di tenere aperto tra noi e l’altro.